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Recensioni

 

Poesia Edita


Una approfondita relazione critica di Raffaele Urraro

PERCEZIONI DELL’INVISIBILE

a cura di Giuseppe Vetromile.

Edizioni L’Arca Felice, Salerno 2012


Marco Righetti

Marco Righetti è presente nell’antologia con un solo testo, un lungo testo, un monologo, che mi fa pensare che l’autore lo abbia destinato alla recitazione. E difatti di un testo teatrale possiede tutte le connotazioni: vibrante e teso, ricco di pathos, molteplice nel tono dal più basso e raccolto al più vigoroso e fremente, ma sempre intenso, caldo, palpitante. Il poeta dà voce a Melissa Bassi, la ragazza di 16 anni morta durante il folle attentato alla scuola di Brindisi del 19 maggio 2012. È lei che parla in prima persona rivolta alla madre, e parla Come una madre (che è anche il titolo del testo). La sua voce viene dall’aldilà e assume le caratteristiche di una figura che, pervenuta all’altra vita, ha subìto una profonda trasformazione e trasfigurazione: la sua è la voce di una ragazza che, sottratta alla vita e regalata alla morte, parla come una sorta di sacerdotessa di un dio dell’aldilà, con parole che solo una donna giunta ad una dimensione di vita diversa da quella umana, transumana, può trovare in fondo al suo cuore. Sono parole di amore, di perdono, di indulgenza, lontanissime dall’odio, dal rancore, dallo spirito di vendetta.

La voce di una ragazza passata all’altra vita mi ha subito riportato alla mente un’altra ragazza, la Silvia leopardiana. Ma qui non è il poeta che parla, ma Melissa, una sorta di Silvia rovesciata, come vedremo di qui a poco.

Intanto Melissa parla alla madre: “ti scrivo da una ferita che non ha più sangue // ferma nel secondo che l’ha aperta / a un passo dai banchi di scuola” (p. 64), e si dichiara serena nel ricordare che alcuni suoi organi servono a far vivere qualcun’altra: “ho regalato la mia giovinezza a una ragazza sconosciuta / sperando che la viva con maggior fortuna” (p. 64).

Poi è il momento della memoria, quella che più avvicina Melissa alla Silvia di  Leopardi: “la mia borsetta imitava / il verso degli adulti / l’occorrente per un ballo di eleganza / sfogliavo riviste cercavo un matrimonio al volo / fra me e una felicità sperata // quel tuffo di un colore vivo / l’entrarmi di un piccolo infinito // un filo di perle una calza di seta / e il balbettio di una serata diversa / io per un attimo all’altezza dell’immagine amata” (p. 65).

E sono momenti in cui Melissa, ancora sulla soglia della sua giovinezza, disegnava nel cielo del suo futuro un progetto di vita serena, l’amore, il matrimonio, e intanto si preparava a vivere una serata spensierata. Era il tempo della felicità vissuta e sperata, e perciò ora può dire: “non sapevo nulla del buio” (p. 65): non poteva prevedere, e neanche poteva pensarci, che la sua vita sarebbe stata troncata per sempre nel fiore degli anni, e con essa le speranze, le illusioni, i sogni che amava proiettare nel futuro. L’aspettava al varco un tragico destino, “l’inizio di una rincorsa verso Dio” (p. 65), e allora Melissa diventa un’altra, una “figura impleta”, per dirla con i Padri della Chiesa. E difatti la ragazza ora può dire: “adesso nulla più mi sfugge”, proprio per essere divenuta, nell’aldilà, una “figura piena”, cioè giunta alla sua pienezza, alla piena dimensione di sé come ragazza pienamente realizzata nella sua essenza di persona. E perciò ora, proprio dall’alto della pienezza raggiunta, può dire cose che nella sua terrestrità, cioè nella sua dimensione umana, non avrebbe mai detto. Per questo alla madre può dire: “ti chiedo di non maledire più l’orrore / a combatterlo ci penserà la giustizia / e l’opera della coscienza” (p. 66); e poi: “non voglio più catini di lacrime / absidi di compiete e guance dilavate” (p. 66); e poi: “nell’affanno del dopo ho trovato / anche quello che non avevo mai cercato” (p. 66); e poi ancora: “Madre prendi tu la Melissa che si celava / nel suo guscio di timidezza / vi leggerai parole di apertura a tutti / e l’immagine dell’assassino” (p. 66), e infine: “è troppo facile per te incidere / rabbia e angoscia non voglio / che lui continui a generare sofferenza / condannalo invece a cercare luce” (pp. 66-7).

In queste parole ancor di più c’è la voce di una ragazza che il poeta ha trasformato in una voce di amore, di perdono, di speranza: è l’augurio che il mondo possa finalmente trovare la sua strada vera, la strada dell’amore, e che anche nell’uomo più folle e più cieco possa nascere il desiderio di trovare finalmente la luce, cioè quella consapevolezza del male che costringe a scoprire l’essenza e il valore del bene e dell’amore. E intanto Melissa può dire: “mi ha sottratto a voi / al sorriso del mondo / al dono che ero a me stessa / ma la sua vita vale più del male che ha fatto” (p. 67): è l’affermazione del valore incommensurabile della vita, di ogni vita, su cui Melissa-Marco invita tutti gli uomini a riflettere. E forse proprio di qui, solo di qui, da queste considerazioni sul valore e significato della vita, può nascere la più grande e più vera rivoluzione sociale della storia umana di cui il mondo oggi avrebbe tanto bisogno. È bello che Marco Righetti, il poeta, faccia annunciare proprio a una ragazza di 16 anni, barbaramente uccisa da un gesto insano e per tanti versi inspiegabile, parole di così grande umanità: la vita dell’attentatore che l’ha uccisa “vale più del male che ha fatto”. Ora che Melissa ha pronunciato queste parole, può dire di sentirsi veramente “libera” e soprattutto: “non ho più limiti all’amore / mi dilata l’assoluto” (p. 67), l’assoluto tra le braccia del quale ora è approdata e che le consente, come si è detto in precedenza, di diventare “figura impleta”.

Che dire?

Marco Rigetti ha proiettato nella figura di Melissa e nella sua voce quello che è il suo grande messaggio: anche le vicende più oscure e torbide della nostra vita e della nostra storia possono essere lette con un occhio illuminato dalla luce dell’amore e della comprensione. È un messaggio di grande momento che sconvolge e trafigge il cuore del lettore. Non voglio neanche pensare a quale risultato potrebbe conseguire la recitazione di questo testo, affidato a una giovanissima attrice, nel cuore dell’ascoltatore. Si può indovinare una grandissima emozione e naturale partecipazione dell’animo. Perciò al valore estetico del testo non nuoce neanche la presenza in esso di alcune punte un po’ retoriche, forse richieste al poeta dalla forza dello slancio drammatico con cui ha voluto cantare il tragico destino di Melissa facendone la portavoce del suo messaggio e della sua verità.     

Raffaele Urraro



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