Chi sono

 

Se vi va di sopportare un’autopresentazione

 

vi dirò come si passa dal lifelong learning al lifelong writing. Niente di complicato, abbiate fiducia. Anche perché termino con la scrittura per l’infanzia.

 

Chi son? Sono un poeta. Che cosa faccio? Scrivo” diceva Rodolfo. Per quanto mi riguarda vi do qualche elemento in più. Scrivo romanzi, racconti, poesie, pièce e monologhi. Di questi ultimi parlo diffusamente nella cartella Teatro (altro vasto territorio amato, qui mi limito solo a due accenni più avanti). E scrivo fiabe.

 

Le scoperte iniziali furono due: il celebre aforisma di Schweitzer – quel che ciascuno può fare è solo una goccia nell'oceano, ma è ciò che dà senso alla propria vita – e la filosofia greca, e la sua centratura sul valore della conoscenza.

In remoti giorni di un liceo romano nacquero così la dipendenza dalla lettura (sitis perpetua) e, nella diretta quotidiana, l’ascolto dell’altro, di quel ‘Tu’ di cui parlava Lévinas.

 

Che cosa ho fatto poi, oltre a essere un avvocato penalista, lavorare a contatto col mondo dello spettacolo e studiare italianistica? Ho sviluppato entrambe le attitudini, lettura e ascolto, il liceo della vita è sempre in corso (su un piano più ampio il recente Documento Miur Orientamenti per l’apprendimento della Filosofia nella società della conoscenza, 2017, riconosce il valore determinante della formazione permanente, il lifelong learning).

Ma quello era solo il primo passo. Mi sono subito convinto che quella formazione, la conoscenza del mondo, aveva la sua verifica nel comportamento pratico (penso qui alla conoscenza quale premessa dell’agire bene, secondo la connessione funzionale nitidamente rilevata da Salvatore Grandone nel suo prezioso saggio L’esercizio del pensiero, Filosofia per concetti, Diarkos 2020, p.12).

Il problema era ed è come incidere concretamente sul reale.

 

A questo punto del percorso, dopo un ricovero ospedaliero, entrò per me in azione la scrittura, che è entrambe le cose: forma di conoscenza e azione concreta.

Scrivendo La vita è molto più (Leone Editore 2013), un romanzo che mette al centro il dolore e l’amore di una famiglia e di un bambino autistico, e che apre inaspettati squarci di speranza, mi sono ritrovato a percepire realmente il mondo a cui mi avvicinavo, secondo la misteriosa capacità della scrittura.

La sua esperienza è diventata così azione pratica, riconfigurazione della realtà, nuova geografia dell’interiorità.

Torno al primo concetto, alla scrittura come conoscenza, finestra da cui far entrare il mondo. Avevo appena pubblicato il romanzo, un pomeriggio mi recai per la prima volta nella sede di un’associazione che seguiva bambini con quel problema: il mio incontro con Francesco, il protagonista del libro, avvenne lì, dal vivo, in quell’ormai distante pomeriggio romano. Le sequenze svoltesi nel locale d’ingresso, le parole i sottintesi e i silenzi, sembravano tolti da alcune mie pagine.

 

Sempre nell’ambito di una scrittura dell’interiorità, rinvio alla mia pièce La terrazza, storia dell’intimo in tre tempi (nella cartella Teatro).

E grazie anche alla mia attività nel penale sono nati, per esempio, il dramma L’incontro, sulla realtà dimenticata degli Ospedali psichiatrici giudiziari (in Teatro), i racconti premiati Dopo ventidue c’è per sempre, ciò che restava di un uomo diventato parricida, e La barca in superficie, dramma di una ragazza abusata dal padre.

Nuove madri è ambientato in Ucraina, e narra quello che le immagini dei servizi e dei Tg non dicono.

Sopravvivere è inevitabile segue l’infanzia (inclusa la barbara pratica della infibulazione), l’odissea e l’approdo in Italia di una ragazza fuggita dal Darfur.

Per questi e per tutti i racconti rinvio alle voci Intervista-curriculum e Narrativa.

 

Se la narrativa indaga, la poesia suggerisce la realtà di ciò che è vivente: questo è il senso che ho sempre creduto di imboccare nei miei libri di liriche. Rimando, per un esempio, alla poesia Quanta luce ha il dolore, tratta da In questo breve corso senza fine, puntoacapo Editrice 2015 (nell’archivio Video un estratto dalla premiazione. Poesia e Libri di poesia sono altre cartelle dedicate).

Da poeta non posso non provare conforto nel ricordare Heidegger quando dice “Ciò che resta lo fondano i poeti’”. Il problema è che cosa significa essere poeta. Come confessa Ana Blandjana, la poesia è per me tuttora un mistero.

E questo suo sottrarsi all’analisi non ha fatto che incrementare la mia ricerca, poetica e narrativa.

Ho sperimentato allora nuovi testi, mezzi per tentare di capire meglio gli altri, la vita, l’oltre. “La realtà è solo una parte di quello che avviene. C’è sempre un punto da cui far ripartire il seguito, che non ignori più le variabili scartate”, scrivevo in Premessa nella mia silloge di racconti L’occhio di Dio (LuoghInteriori 2020, sono disponibili in Video alcune fasi della premiazione).

 

Ero in buona compagnia, Wittgenstein dice che i confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo, perciò più scrivo più allargo il mondo. Il mio, almeno.

Lifelong writing quindi, scrittura permanente.

Anche perché, come osserva la Kristeva, è il linguaggio il mezzo che può cambiare la società. Mentre oggi la non-società dei social impoverisce il linguaggio e quindi lo stesso pensiero, aggiungo.

Non bastava però, ho presto sentito il bisogno di andare oltre, vedere che cosa accadeva nei lettori più giovani. E qui mi collego al mondo scolastico e al mio pluridecennale rapporto con la scrittura per l’infanzia.

Oggi che il fuoco dei conflitti monopolizza presente e futuro di troppi popoli, devastando la loro vita, cerco di comunicare anche ai giovanissimi il nuovo angolo di universo appena intravisto proprio dentro quel fuoco.

Alcune mie fiabe dedicate alla pace (penso al grande Mario Lodi, scomparso nel 2014, che scrisse fra l’altro Favole di pace) introducono fantasia, stupore, comicità: concretezza di una scrittura che mira a unire pedagogia e divertimento, e che, dai riconoscimenti ottenuti, sembra proprio muoversi in tale direzione.

 

Scrivere per l’infanzia vuol dire curare l’urgenza forse più trascurata.

Provando a decodificare il linguaggio per i più piccoli, potrei dire che la fiaba da me fermata su carta (in mezzo alla variopinta giornata di un bambino) è una proposta: leggerla a una scolaresca, in classe in biblioteca o a teatro, è invito a percorrere il sentiero nuovo che quel racconto ha già aperto in me, suo autore, quando l’ho concepito.

L’altra parte del racconto (forse quella prevalente) varierà da bambino a bambino, dipenderà dall’empatia e dall’attenzione del lettore (purtroppo spesso colonizzate dalla iperconnessione), ma seguirà i confini da me abbozzati, che poi concorreranno a formare il suo mondo possibile, etico e fisico, le sue stesse frontiere.

In questo sito c’è una cartella, Scuola e Fiabe, dedicata all’esperienza nelle scuole e alla mia narrativa per l’infanzia.

 

Più ampie note biobibliografiche nella cartella Intervista-curriculum