PRESENTAZIONI

 

PRESENTAZIONE A CURA DI ANNALISA MACCHIA

Firenze, Libreria Chiari, 19 gennaio 2012

Marco Righetti, Il seguito mancante, puntoacapo Edizioni, Novi Ligure (AL) 2010, pp. 198, Euro 16.00


Dopo un’iniziale collaborazione ad antologie di Book editore, Marco Righetti è finalista al premio “Nicola Martucci”, nella sezione Attore, con l’interpretazione del monologo centrale di Edipo da La serata a Colono di Elsa Morante.

Collabora anche con la rivista cartacea Il clanDestino e, online, con Vico Acitillo – Senecio, dove appare il poemetto Riscritture.

Alcuni suoi testi, inoltre, sono stati coreografati in occasione di importanti eventi di danza.

La sua prima raccolta, Dirette, viene pubblicata da Lietocolle nel 2006 ed otterrà il Premio opera prima al “Premio Astrolabio” l’anno successivo.

Suoi inediti appaiono sulla rivista Gradiva, dove, nell’ultimo numero, Annamaria Ferramosca ha dedicato una bella recensione anche al libro che presentiamo stasera, Il seguito mancante. 

Innumerevoli e prestigiosi i premi vinti, un po’ in tutta Italia. Impossibile elencarli tutti, ma è proprio grazie ad uno di questi che ho avuto il piacere di incontrarlo la prima volta.

Arriviamo dunque all’oggetto misterioso che stasera, a questo tavolo, occupa il posto d’onore, naturalmente insieme al suo autore. Perché parlo di oggetto misterioso? Innanzitutto perché si tratta di un libro  (finché non lo leggi non puoi sapere di che cosa si tratta); in particolare, però, perché è un libro di poesia (ovvero, anche se lo leggi, non sempre riesci a capire di che cosa si tratta). Un rischio che ritengo possibile nel caso specifico perché la poesia di Marco Righetti non è semplice né immediata.

Il seguito mancante, rispetto alla scrittura d’esordio Dirette, ma anche al poemetto Riscritture, pubblicazione online, riprende i nuclei tematici dell’autore,  all’interno, però, di una struttura più ampia ed organizzata. Nei 140 testi che lo compongono, si suddivide in nove sezioni: Partenze differite; Diari romani, guida ai luoghi del cuore; Dediche; Ipotesi viventi; Ghiandole esordienti; Daysair (due dialoghi a margine delle Women of Trachis di Ezra Pound); Ombelicale: parole a mia sempre madre; Quartieri in chiaro; Prove di resistenza.

La prima sezione “pesca nel passato e ne rimette in corsa le fasi acute, partenze differite verso una possibile salvezza”, è quella dove si ritrovano desideri ed entusiasmi degli anni giovanili, ma da cui già si possono scorgere elementi e tensioni che nel tempo prenderanno altra forma e vigore, come  l’attenzione per i caldi affetti familiari, la fiducia nel rapporto umano, soprattutto nel rapporto uomo-donna, per far fronte a realtà che sembrano insopportabili. Nelle sezioni seguenti questo rapporto uomo-donna, una delle tematiche forti nel testo, emerge con ancor maggiore forza ed estrema delicatezza di tocchi. La donna, avvicinata nelle sue angolazioni più segrete, la donna fuori gara, oserei dire nella sua sacralità di femmina, è talvolta vista in una dimensione di imprendibilità, di irraggiungibilità, come in una delle ultime sezioni, Quartieri in chiaro, dove la figura femminile è tratteggiata con misteriosa, quasi temibile regalità. Altro tipo di colloquio femminile, il più intenso e luminoso in questa raccolta, lo ritroviamo invece in Ombelicale, una delle sezioni più alte e commoventi, tutta dedicata alla “sempre madre”, qui quasi richiamata in vita, in un tormento liberante/ un seguito fatto da me che mi ha richiamato alla mente, per la sua intensità, seppure tanto diversa nella soluzione stilistica, le poesie di Caproni dettate dall’amore per sua madre, Anna Picchi, Annina. 

Dopo una prima lettura dei suoi versi, anche a me ne sono saliti spontanei sulle labbra due: Marcolino, Marco, Marco/ quante frecce nel tuo arco, parole affiorate e sfuggite, forse non a caso, dal subcosciente. Il nomignolo Marcolino, appare proprio nel testo di una poesia della sezione Ombelicale, dedicata alla madre prematuramente scomparsa. Un nome legato all’età infantile, al rapporto con la madre, ma rivestito di grande significato affettivo e memoriale, tanto da assumere il ruolo di parola-stargate, capace, da sola, di evocare e mettere in comunicazione due diversi mondi: il passato e tutto il suo vissuto con il presente. Il fatto che parole come questa possano essere inconsapevolmente scovate, ripescate dai poeti nell’infinito guazzabuglio dei circuiti umani, è un altro mistero della poesia. Tuttavia sappiamo bene che quando un poeta affida al foglio la sua opera, questa, inevitabilmente, diventa di chi legge, caricandosi di significati e sentimenti non di rado completamente rinnovati. Il poeta lancia un la con i suoi versi ed il lettore, agganciandosi a questa nota, si trova  a continuare la canzone con le sue personali note. Ovvero, per tornare alla mia “alta poesia”, fa un po’ come un arciere le cui frecce possono prendere infinite direzioni.

La poetica di Marco Righetti è densa e rovente, un magma incandescente che rotola giù da un vulcano, imprevedibile e inarrestabile nella sua corsa a valle. Le parole si accavallano, si rincorrono, liberamente trascinando quanto fa parte del bagaglio culturale e della vita dell’autore, degli eventi che si trova a fronteggiare; solo apparentemente solidificate in strofe e versi. Non ha senso infatti parlare di solidificazione in poesia poiché essa è per sua natura dinamica e irrimediabilmente in fieri. 

Per questa loro natura libera e vulcanica, sono versi in grado di offrire molteplici chiavi di lettura. 

La nota dell’autore, posta al termine delle sezioni, costituisce un prezioso aiuto per orientare il lettore e guidarlo lungo questo tragitto poetico, ma non può essere risolutiva.

A che ora sono nel mio rapporto con la vita fatta, col mondo già vissuto? Che punteggio ha, oggi, la mia coscienza di un bene ricevuto, di un’umanità ferita, conculcata? A quanto va la consapevolezza delle nostre radici letterarie e storiche, imprescindibili? Quali orizzonti mi apre un dire che esce dalla mano passando per il cuore? Ho scritto Il seguito mancante…  […] La poesia ritrova l’altro e la sua voce; in questa fase lotta per non tacere e per non dire troppo, in una parola: per reggersi.

La domanda senza risposta (il seguito mancante…) o, meglio, in cerca di risposta, resta l’anima fondante di questa poesia. Sono domande universali, sul senso della vita, sull’amore, sul tempo, sulla morte, su ciò che a noi resta di tutto questo. E sono domande continuamente intrecciate, avviluppate a riflessioni e rovelli. Il dolore del mondo, che l’autore con consapevolezza porta in sé (vedi soprattutto la sezione Dediche), di fronte all’ineluttabilità dell’esistenza, in cui tuttavia egli crede con salda fede, assume un senso trasformandosi in parola. La parola poetica dà voce al sé ma anche all’altro, fino a diventare grido di comunicazione e a riappropriarsi di una comune, consolante speranza salvifica.   

Si legge nella bella postfazione  a cura di Plinio Perilli:

Libro complesso e munifico, questo, indubbiamente originale, seppure coltivato e nutrito di un’ininterrotta tensione intellettuale che sembra avere assai bene imparato, e quasi mimato, la grande tradizione intellettuale del ‘900 migliore: che è italiano, certo (Montale, Sereni, Fortini, un certo Zanzotto, alcune nuances di Giudici, quello insomma di Autobiologia e La vita in versi) ma in maggior misura ancor più straniero (il provvido magistero anglosassone: Eliot, Auden – e i più irregolari dei contemporanei francesi: Michaux, Char, Frénaud, fino a Bonnefoy)

Si percepisce infatti nella lettura di questi testi una sovrapposizione di stili e di linguaggi, certamente assimilati dall’autore nella sua appassionata formazione poetica e qui ben individuati dal critico. Sono strumenti affilati con cura negli anni a cui ora Marco Righetti si appoggia per esprimere il proprio mondo poetico, per permettere a quella ridda di ricordi, entusiasmi, stupori e sentimenti che si agitano in lui, di staccarsi dal subcosciente, di scomporsi e di ricomporsi sulla pagina, in un gioco che la poesia ben conosce. E così facendo scompone e ricompone anche brandelli di questo nostro pazzo tempo. Ci offre il suo “seguito mancante” senza pretesa di dare risposte, cure certe, ma con fede incrollabile nella forza della comunicazione, della parola poetica. E non è poco.

Annalisa Macchia