Scrivo romanzi, racconti, poesie,
atti per il teatro
Poesia
Poesia Edita
Marco Righetti
RISCRITTURE
Direttrici poematiche
Un’Atene
Smog o sfratto per fondere giallo
e combattenti
scattano i semafori
templi di un’anima meccanica
giovani in jeans sfogliano l’alba
nello zaino gli dèi stropicciati da Luciano
scendono alla Piazza Grande
nuovi dialoghi salgono
storie nella preluce.
Dentro di me
Dentro di me c’è il tempo che spalmava castelli
e pastelli,
le comete hanno proseguito:
da grandi
sono le cose in disparte a spegnere i fuochi,
guardie distratte studiano quanto dista
la stella più vicina
pur sapendo i titoli spopolati
le ipotesi.
E l’affronto dell’età adulta.
Fotografie
Ne restano scintille.
Salmone insorto a false parsimonie,
è il guizzo di cristallo il formidabile archivista.
Inseguo lo scatto privilegiato
il volo sospeso sulla tomba del tuffatore.
Si allargheranno in tempo
le vie sensibili?
E se l’obiettivo sgrana?
Angoli
Lo spazio sottopelle
l’asfalto che invase l’aiuola
o le meteore nel grano dei volti
è così che si ricorda
il passaggio di un significato
il sedimento lasciato non è solo
Nauplia recuperata,
il legame conserva un angolo
per ogni ritardo giunto a traguardo.
Riscritture
Oggi fermo l’inverno nel plastico
per saggiare le immagini disponibili
riempiranno la platea di giorni distanti?
Rimontando il tratto visibile mi chiedo
se a impressionare l’anima-lastra
sia il calco dell’alba,
preistoria o postmoderno a parete,
o quel pugno di mare che gira
da un capo all’altro del sangue,
un crescere piano di vedute,
la sabbia è vapore che al mattino
raggiunge gli occhi
ogni terra riparte da lì,
entrando nella bocca l’aria forma gusto
e desiderio, la nervatura delle sillabe,
la casa scelta a dimora
riscrive i passi cancellati da altri
non scantono le teche in memoria
a stringerci ora è la spremitura dell’abitudine
a coscienza, l’invisibile bagaglio
incollato sulla fronte,
c’è ritardo sotto la fodera quotidiana
registro gli orari:
eravamo nella lista dei partenti,
segreti in espansione, causa
lo scambio cellula – gloria centrale
in fase d’apprendimento le navate
sono avvolte nel cellofan dei versi
cose amate,
il tuo universo stampa anime
l’inchiostro è il sonoro
non svaniranno,
comunque ho addestrato i miei ladri
non aspettate
che le voci affiorate si oscurino
la tua mano in sospensione figurativa
recinto di risposte pronte
carezzate con l’olio dello sguardo,
viscerale rinvio,
tracce d’erba nel cuore asfaltato
quando sento freddo il continente marino scruta
la terra in attesa provo a posare giardini
tinture
ascolto ali tese nelle arterie
tu fa’ il vento
abbassa accenti sulla pagina:
le parole promettono di segnare la testa
con perché
la pressione appiattisce il tempo sul foglio
ma non è sufficiente:
fuggono vite tra le ballate
dopo i giochi dispersi la domanda è cosa fare
per salvare una stagione tolta dal calendario,
tu amore dipendi dal ponte estati
trascorse – contagio di chiaro
il collegamento prevede l’aerostato
a sbarco improvviso sul centrocittà,
perché l’occhio si gonfia di immagini?
Portano indietro
dove stai protetta da una fiammata
i magazzini cerebrali smuovono geografie ricordo,
qualcosa si stacca sempre amato
e apolide, giorni assottigliati
a labbra sulla nuca
posavi il parco oltre la finestra
il lenzuolo ritagliava sole
su di noi tardo settembre
indovinavi l’accordo vene fiala d’azzurro
quanto è vasta ora
ogni volta che mi hai amato,
scopro la corruzione delle giunture
allora seguo lo spostamento della luce
sui tuoi anni
l’impatto e il volo,
giocherò nello specchio dei segni
per sconfiggere lo scarto presente-passato
storia partorisce una striscia rossa a dicembre
l’anabasi scende al seme delle canzoni,
granuli o generazioni,
il tempo s’infila nei comparti di luce e pioggia
si lega ai minuti,
felicità che non resistono,
l’alternanza stagionale impazza foglia su foglia
chi passa senza traccia?
Lo credi? Vieni come in viaggio
porti quello che è rimasto fuori
non abbinato
il mio campo racconta materie prime
canti di prigionieri, qualcosa mi tiene
e mi fa sentire il resto che tace,
l’inserzione della neve nelle vertebre,
il cuore fondatore della vista mi spiegavi
vola alle sue ferite d’acqua,
quanto basta per assolvere la morte
farla passare alta
sulla vita
ti scrivo dal nido delle pendenze
decifro il chiaro immerso nel bosco
del fiato,
strade già corse,
forse ora ci appartengono come latte nella gola
scorrono ancora
come sai bellezza punge senza stringere date
un moto antico solleva Margherita di Brabante
le ruota il capo verso l’estuario pronto
alla prova di veggenza chi muore è telaio pulsante
somiglia a encicliche con la serie dei conversi
pensa ai mesi dell’Antelami
le facce-misteri medievali
il magnete cardiaco punta il nord permeabile
la parabola nascita-scomparsa,
è facile che nelle fessure premano volti
accostano le mie finestre
salgono a trionfo e lasciano,
stridore lieve della bocca
a contatto con l’arancio vivo
primavere a lavaggio rapido
mi tolgono colpa e merito
il campo oculare si allarga
e insegue il sole sparpagliato,
ma quante isole ha l’arcipelago
che parte dal cuore?
Non lo sapremo mai
Il cestello della riproduzione gira il suo mucchio
di grazie radianti, interviste
con le nostre anime
(ore in circolo)
Lorenzo de’ Medici volge a rima i tuoi passi
non meravigliarti qualcuno avrà l’elenco
delle tue incarnazioni
il fondo del vento
il premio ricevuto dai poeti? Ballatoi senz’argine
su pozzi fondi,
voci-monete per acquistare all’impronta
la parte consumata della vita
bisogna essere lì, oltre i metri
raggiungibili a piedi, per radicare
le cose cadute a zero nell’occhio
o restate in disparte
come figli sconosciuti
in ogni giro della mente va smarrito
quello che abbiamo visto, l’esperienza
che non si è unita a queste ossa
cosa avanza della fioritura? Stanze leggere
sollevano radici a inediti,
conservi ancora come biglietto scaduto
il manuale dove studiammo?
Luoghi liberi, un’indicazione
messa appena sotto le nuvole,
ora la cenere è incendio
guida il respiro tra le costole,
allestivi l’insegna intermittente,
clorofilla e ombra,
vedi ho inserito l’auricolare ricostruisco
partendo dai primi gradi di temperatura
ho già predisposto il cavo scoperto,
lo senti in vena l’inizio-vita?
Dispone ingranaggi perfetti
gangli midollo
non so mai la forza dell’acqua
(ruscello o tempesta)
quando scorre sotto l’orto della pelle,
il resoconto in agenda dice nomi in gola,
papille di canzoniere,
spegnevi l’allarme:
quando ti si spezzava una miniatura fra le mani
ti limitavi a schiarire lo specchio sulle labbra,
è uguale quando il vento sostiene
rondini nere con gli acuti da salvare
invidio la libertà del porto il momento in cui predilezioni
sconfinano nel mare aperto
nota la rapidità ombelicale
con cui nell’Odissea gli aggettivi fanno tutt’uno
con la voce Feaci
somigliano all’abbinamento mattoni-casa,
calamite
cancelli: impediscono
la rimozione di nostalgie
la parola rimane lago o abbandono
hai fatto caso che l’ombra si incassa sempre
nella separazione tra le pagine?
Zona capiente,
emergono tracce di un ordine impresso al sorriso,
così oggi porti in superficie canzoni di donne
ci unì l’emozione
chiederci cosa creare e lasciare senza scampo,
prendevi sonno in territorio imprendibile
come luce sott’acqua
ancora resisto alla terraferma
io lettore svolgente
il gomitolo della coscienza bergsoniana.
Verbi al presente:
giochi nelle officine dei versi
non trascuri l’infiltrazione del sacro
l’età laurenziana dice la grazia che galleggia
quando muovi le dita a plaudire giostre
mi portano diapositive
fermate del tuo corpo bilingue,
celia e giorni senza interni
nell’archivolto della veste,
la circolarità del passato getta fuori
la bellezza ingoiata
la vocale fa presa sulla bocca
e non ha spessore, non serve,
tutto ha diversità di respiro
di profilo
ti solca un fischio sottile
meridiani, linee immaginarie,
è dovuto alla riproduzione in atto
o forse vela
verso l’isola di Alcina
non mi basta vedere la scia dell’aereo, avverti,
sono tra gli esordienti tento l’impresa
il sensore ti prende i tempi segna
Simonetta Vespucci Lucrezia Donati Alessandra Benucci
metti mano tu stessa ai cataloghi
purché siano antologia viva
si avvicina il cuore
nella galleria tempo-spazio
il corso elenca biografie in dépliant
sfilano treni rinascimentali
finiscono alla cieca nella guida,
togliendo il bavaglio della copertina
restituisci il mondo preso insieme:
mi traversano fari a getto costante
direttamente
mi ammalo di impressioni anatomiche
distinguo i grumi il blu bendato sui tetti
srotolo il diario sull’orizzonte
fuoco disteso
galleggerà fino allo sparo all’assenza di orme?
Oggi accendi il titolo-città
mettete ogni cosa in vista,
versi fuori il bianco del palmo,
usi misure da ospite passeggero,
le cadenze di quegli anni vivono
nella staffetta sorriso – devianza,
ronzio di congiure e fusione in versi,
la strofa imita la lunghezza delle dita
abbiamo tasti precisi
per toccare l’inconnu
La densità del volo si vede all’atterraggio
quando la vita è sul lungo finale,
oggi chi muore mi entra nell’occhio
per linea retta direbbe Dante
(mi aiuta ad amare),
quando l’uomo rinascimentale scende dalla ribalta
ha lo stesso azzurro che ci gronda sulla schiena,
lo avverti?
Nel monitor poetico Lorenzo si muta in girasole
per rivederti,
ma è l’occasione che attiva episodi già vissuti,
è lo stesso quando bambini corrono
oltre i vetri e manca il sonoro.
Misura il tempo d’apertura delle valvole
il filo scoperto del cuore,
il punto d’attacco alla memoria
è solo un giro sotto l’esistente,
riconosci l’impronta della storia
le offerte?
Sono ciò che ti è più vicino,
sei tu sono io
altri mattini
ci incoronano e ci lasciano
con la stessa frammentazione della pioggia,
all’aperto le precauzioni cedono sempre,
come la testa quando si drizza investita
dall’atmosfera masaccesca
l’occhio-contenitore feconda l’ognidove
il verbo ci siamo stati,
non basta qualcuno che proietti
il film di com’è andata
ci vuole chi alza la sigla finale
a presidio d’amore
poesia pesca cronache che sembrano
già assegnate
quale punto del sangue è fermo da essere tuo?
Eppure è lì con te
poesia riprende il sogno e ruota il petto:
entrano giovani da oriente e occidente
qualcuno potrà mai contarli?
Ho promosso alleanze e invasori
l’infanzia dell’anima
nei polmoni-custodie,
sottoposta a radiografia la retina
serba annuncio e perdita.
Stralcio da quelle vedute esplose:
nuotando tra i mattoni
(nostri moli di base)
tirar su la verticale
e dare volto a quanto è sfuggito
mappe incise nelle mani
mondi privati
cos’altro sarebbe, altrimenti
il morire che ci ha preceduto?
Una parte di noi
il ventaglio oculare trattiene il battito regolare
di un mare lontano,
allora ti chiedo metti gli approdi a dovere,
ci andrà bene
se nessuno sventa.
v. 173. “nota la rapidità ombelicale”: il rimando è allo stile formulare impiegato nell’Odissea, che usa aggettivi e sintagmi di rapida memorizzazione: ad es. in Odissea V, 386; VIII, 96 e 535; XIII, 36 i Feaci sono definiti philéretmoi (che amano i remi), in VIII, 369 dolichéretmoi (dai lunghi remi); Odisseo è (polùtlas) dios Odusseùs, il ( paziente), chiaro Odisseo.
v. 216. “Simonetta Vespucci”: Simonetta Cattaneo Vespucci (1453-1476), forse amante di Giuliano de’ Medici, modella, fra gli altri, del Botticelli (la celebre Venere) e di Piero di Cosimo, ispiratrice delle Stanze per la Giostra del magnifico Giuliano de’ Medici del Poliziano. Il Comento de’ miei sonetti di Lorenzo si apre con quattro sonetti composti per la morte “d'una donna [Simonetta Vespucci] che non solo extorse questi sonetti da me, ma le lacrime universalmente dagli occhi di tutti gli uomini e donne, che di lei ebbono alcuna notizia”.
“Lucrezia Donati” (che nel 1465 aveva sposato Niccolò Ardinghelli), partecipe delle feste della brigata medicea, fu la principale ispiratrice della prima redazione del Canzoniere laurenziano. Tale legame poetico fu ostentato anche pubblicamente. Lorenzo ventenne le dedicò la vittoria alla giostra del Carnevale del 1469 in piazza Santa Croce. Pochi mesi dopo sposò Clarice Orsini.
v. 216s. “Alessandra Benucci”, vedova di Tito Vespasiano Strozzi, amata e segretamente sposata da Ludovico Ariosto; collaborò alla revisione linguistica culminata nella seconda edizione dell’Orlando Furioso (1521). A lei che dal 1513 gli fu ispiratrice sono dedicati tra l’altro il proemio dell’Orlando Furioso (I,2) e la celebre canzone I dalle Rime, “Non so s’io potrò ben chiudere in rima”, in cui il poeta narra la storia del suo innamoramento.
v. 246. “oggi chi muore mi entra nell’occhio”. Nel Convivio (II, 9) Dante teorizza, da un punto di vista fisico, il caso in cui “più cose ne l’occhio a un’ora possano venire”: in tale ipotesi “quella che viene per retta linea nella punta della pupilla quella veramente si vede”. La vista in retta linea è l’unica che si suggella nell’immaginazione ed è mezzo principe dell’innamoramento. Nella Vita Nova (I,V) era stata la prima donna-schermo a interporsi nella retta linea tra Dante e la gentilissima.
v. 252. “nel monitor poetico Lorenzo si muta in girasole“. Nel citato Comento Lorenzo si paragona a Clizia, “tornalsole da’ Latini detto clytia”. Poiché, adattando il mito, l’orizzonte (la morte) ha tolto a Lorenzo-Clizia il sole (Simonetta Vespucci), solo un’altra morte, quella dello stesso Lorenzo, “renderà il Sole suo [Simonetta] a questo nuovo Clyzia [Lorenzo] come l’Aurora lo rende a Clyzia già convertita in fiore”.
Nuovi testi
L’adolescenza di uno stupore
Il Partenone entra in un solo ramo
del pensiero
perché è eternità senza veli
corrente ascensionale
è diretta l’eco delle colonne sulla pelle
le metope ancora sotto sforzo
di bianche machìe,
rive sopraelevate,
vi nasce la pietra
e il suon di lei:
qui comincia la riproduzione
non interrompere
potresti certamente scordare
il giallo dei frutti
il blu che brucia le sere
il marmo che rifà i confini
e le imboscate sotto le mura
gli dei astanti le biografie
oltre le onde.
In questa legatura di rovine perfette
non è abitata
l’idea
che qualcosa parli di noi
Capodanno, con proponimento
cosa fare perché giunga veramente
l’annonuovo (e non sia un altro valico inutile):
in luogo di straordinari
pagati per affossare diaframma
e regioni pelviche
(incluse fantasie riproduttive)
inamidare l’assetto rigido
in previsione di altri esordi,
la possibile stagione del cuore lanciato
o spingere poesia verso una lingua che salvi
ambigua
(se vi capita il primo stasimo dell’Antigone decidete
voi
se l’esistere dell’uomo è stupore infinito [1]
o minaccia di un mistero).
In tema:
antichi racconti del sole hanno cresciuto
alberi in fondo al mare
ma non dicono dove il verde
cede all’azzurro,
dov’è l’adolescenza
di uno stupore.
Creta
tornano a confabulare palazzi e palmeti
l’isola-anemone aderisce al capezzolo marino
come l’apice emerso di un azzurro
nell’acqua scrivi parole
profili da innamorare senza rumore
entri nella nervatura di una civiltà
questi sono i pithoi,
contenitori vuoti
perché ora dentro c’è solo il tempo,
ombre saltano
le ultime barriere ma si bloccano
davanti al tuo piede d’ocra
nel pronao,
oggi ti fai baluardo di un nome antico.
*
un cartello ammonisce l’automobilista
furioso (se tarda al lavoro
non può rifare l’Italia)
lascia perdere
il mito della fondazione
neppure oggi hai vinto
sei rifatto da lifting
e opinioni bevute
griffe e dietrologie
di quest’era piovuta,
non è neanche certo
l’happy end per fiction interminate
hanno anche tolto l’esame
per diventare adulti
emancipandosi
dalla madre terrificante [2]:
al prossimo bivio troverai
la Sfinge di Tebe schiacciata
dai suoi stessi enigmi
dammi retta
scìvolati a brezza
per un sì pieno
a questo ritardo così mal custodito,
così poco amato.
[1]La citazione in corsivo è una ripresa da Antigone (1° stasimo, vv. 332-33), nella traduzione di E. Cetrangolo (l’esistere del mondo è uno stupore infinito), in contrapposizione, ad esempio – nell’ambito della teoria di traduzioni del testo sofocleo – a quella di E. Savino (pullula mistero. E nulla più misterioso d’uomo vive).
[2]La “madre terrificante” richiama la nota interpretazione junghiana della Sfinge come rappresentazione archetipica dell’imago materno
Daysair
(due dialoghi a margine delle Women of Trachis di Ezra Pound) [1]
I
Sono tornato. Apprendo dal coro
che l’attesa qui ha mineralizzato
storie, le hai strette alla tua legge
sacro vincolo e usura
impermanenza e tempio.
Nella tua carne di donna,
avanguardia del tempo,
sei fiorita con caviglie inquiete
per una veglia ammiccante.
L’unico spostamento
è l’onda che mi ha riportato,
qui invecchiare è virtù dormiente
nel fusto
ma non si sa quando accade,
né chi muove prima
tra un respiro e la morte.
Inesorabile non è l’epilogo tragico
della tua fedeltà
ma la stasi di ogni commercio.
Il segreto è annuire delirando
per questa destinazione sopraffina
che setaccia e cestina
ogni precedente.
Quest’oltreterra ha saracinesche sempre aperte
si fraternizza con le specie
si sta immutabili come alberi,
vivere dura molto più del lavoro
e del riposo,
non ha ritorno.
II
I tuoi fatti prima di nascere
rotolano insieme nella conchiglia
l’umore d’agosto ha migliaia d’anni
Trachis è tana dove si annulla
ogni genere di morte,
lo dice una piana incollata dal sole
farfalle folgorate
dal lampo ali
piccole mani ritagliate
se tutto si posa qui è come laggiù:
i piedi scalzi sul bianco del caicco
l’incuria di archi disossati
lungo la costa.
È fermo il mattino
come un telefono che non suona
perché staccato.
Sono qui, Daysair,
non ripetermi più
il tuo mezzogiorno-assolo,
l’ossessione di riconquistarmi,
e l’oltraggio della mia parte oscura
che potrebbe crederti vendicatrice
giusto in tempo sono solo,
nulla è trascorso,
eccomi per questa tua fedeltà espansa.
Iole
il domani
il destino
non verrà mai.
Sicilia
L’allenarsi dei flutti rifà
la sagoma del porto
l’avidità dell’ora lima i fianchi
alle barche-corpi di un canto,
beccheggiano come dubbi
le auto mettono in moto la fiera dei tigli
che fanno segnalibro
a una strada cittadina
come tanti figli in piedi, ordinati
lontano dalla riva
c’è l’allungarsi del vento sulla pelle
nella vela-ramo d’arancio sul foglio marino
si gonfia sordo
- capelli di serpe e spighe di grano -
l’enigma di Medusa
(meridione del mito)
lo sbattimento delle drizze cadenza
l’apparizione dei paesi costieri
letterature improvvise
che ti girano la faccia
numi invecchiati in una lontana striscia
di sabbia e zagare
che ora sale e scende
dai tuoi occhi...
Tornano scene da un giorno incompiuto
(itinerari veneziani)
Galleggiano
le gallerie dell’Accademia
memoria utilizzata da tutti
a Venezia provo a guidare
un’altra vita rimasta in rosso
pesco linguaggi alla fonda
e fonderie, ma il primo ghetto d’Europa
separa da arnie di luce comune
Murano genera anime di vetro
la Serenissima controlla un ognidove
tornano scene da un giorno incompiuto
Tiziano snuda la Venere celeste
è nudo il seno della cortigiana sul ponte
Veronica Franco scaglia duecento versi
al suo offensore, m’aggiro intonacato
da indiscrezioni su di lei
“m’interesso di poesia”
premetto prudente
poi, come una verità,
sfilo il mantello
e il viaggio fugge:
togliti la bauta donna nel miele
del palazzo
non vedi la tua vita sbattere ai vetri?
L’ombra a cui ti unisci per celia
il timbro che hai adesso
diventeranno storia avara
finito il carnevale
e sarà irriconoscibile
questo tempo doppio
[1]Daysair (due dialoghi a margine delle Women of Trachis di Ezra Pound), prende libero spunto dalla versione-reinvenzione delle Trachinie sofoclee ad opera di Pound, dove la stessa protagonista Deianira diventa Daysair (“aria del giorno”) e Iole, la rivale, è Tomorrow (“domani”).
Delos*
Qui a Delos fu il primo viaggio con te.
I leoni guardiani stanno ancora lì
salini, asfissiati.
Veniamo a cercare
un inchiostro appena leggibile
sotto le lancette dei piedi,
un Apollo minimo,
o il polso di animali tuttora
proni al sole
in un beato castigo.
Correre verso un passato
fa sbandare i conti
aumenta sensibilità agli esterni.
L’Agorà di Teofrasto ti girava intorno
con dogmi e dissolvenze,
alla rupe di agrumi
inciampi in traiettorie scolpite,
in un perché qualunque.
Le concordanze marcano:
furono scintille
in cui c’ingabbiammo.
A saperlo non le avremmo accese
oggi,
noi profumi spogli
dei ragazzi che eravamo.
*Cfr. M. Righetti, Il seguito mancante. Prefazione di V. Serofilli. Postfazione di P. Perilli, puntoacapo Editrice, Novi Ligure (AL) 2010, p. 91.
Corfù*
A Corfù hanno venduto tutto
il monastero-zattera in calce bianca
(la tregua durava ormeggiata)
le strisciate d’olivi e vespe immobili
l’argento controluce del pope elegante,
scogliere nella barba,
erano sfarzo le schiere di fichi d’India
numeravano tutti i derivati del verde
ignoravo aghi.
Riemerge senza mediatori
il morso di eroi sulla sabbia
una fascia di stelle incendia la ghiaia
quest’ultima neve caduta dalle battaglie
perché nessuno le scordi
da questa parte non montano parabole
per vedere meglio la storia
spiega il campione locale
le fonti sono direttamente cielo e mare
Ma qui, a Scheria,
le navi non temono d’andare in rovina.
*Cfr. M. Righetti, Il seguito mancante. Prefazione di V. Serofilli. Postfazione di P. Perilli, puntoacapo Editrice, Novi Ligure (AL) 2010, p. 94
Pubblicato su:
http://www.senecio.it/riv/43.html
Note a lettura di Annamaria Ferramosca : http://www.senecio.it/rec/righetti.pdf