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Poesia

 

Poesia Edita


Il sogno della poesia (una breve riflessione sul rapporto fra amor fou e poesia) di Marco Righetti.


Abbiamo bisogno di credere a qualcosa di potente, di irreprimibile per capire poi quanto la vita sia più vasta della misura ordinaria. Forse abbiamo bisogno dell’amor fou per poter meglio amare la vita. Abbiamo bisogno di staccarci dalle piccole dosi di un quotidiano troppo pervasivo e annichilente. Scoprire la ferita profonda dell’amore che non conosce equilibrio è tutt’uno con l’allargare la luce della giornata e farne qualcosa che duri, che invada, che ci porti con sé. Non è forse anche il sogno della poesia?

Quando Yves Bonnefoy scrive ‘mi sembra che non sia reale che la voce che spera… reale, solo, il fremito della mano che tocca la promessa di un’altra’, o quando Adam Zagajewski dice ‘di notte brucia un falò invisibile, il fuoco, che ardendo non distrugge ma crea’ si tratta sempre di voci che hanno creduto alla follia di un amore – per la vita vera – che veda e vada oltre le cose chiare e distinte. La poesia ha in sé una immanente dose di visione, è il prezzo che paga alla sua e nostra verità. Non a caso il poeta olandese Cees Nooteeboom si chiede ‘quali dialoghi non possono infrangersi contro il muro del tempo, in mancanza di memoria, da qualche parte, laggiù in un sogno?’ Recuperarli è la più sana operazione folle, inutile e utilissima perché senza scopo, ma – ormai – consustanziale al nostro essere traccia di un disegno più ampio. Direi che corrono in noi le mille direzioni di un infinito (non-finito) a cui partecipiamo più o meno coscienti. ‘Sposerai la luna e il mare e la luna e una donna… Ogni casa è costruita da molti e mai finita’ scrive Paavo Haavikko, poeta finlandese.

L’amor fou si lega magnificamente al più breve discorso sulla poesia, perché ne condivide la rinuncia al pensiero prudente, raziocinante, e l’abbraccio teso alla sponda più lontana, creduta, inseguita, o finalmente raggiunta. È ancora Bonnefoy a ricordare ‘Non esiste altra stella che si muova misteriosamente, auguralmente, nel cielo illusorio degli astri fissi, se non la tua barca sempre oscura’: quanta luce! O, come notava la Szymborska, ‘il cielo l’ho dietro le spalle, sottobraccio e sulle palpebre. Il cielo mi avvolge ermeticamente e mi solleva da sotto.’

A questo punto tutto è possibile, anche vivere senza il peso di dover estrarre continuamente la vita dalla paura, dalla morte, dall’assurdo, dall’irrealizzabile, perché già il verso divide ciò che resiste da ciò che deve essere dimenticato (Heidegger docet).


Ho bisogno che le nostre parole…

Ho bisogno che le nostre parole crescano

e diventino orizzonte

e circondino gli increduli

ho bisogno che tutti sappiano

che il nostro prato è rivolto al cielo,

ho bisogno che le nostre mani aprano i nostri mondi

e tolgano gli anni che non ci hanno sfiorato

abbiamo solo l’età che viviamo insieme

ho la tua creazione e la dico a tutti

non sopporto più di essere l’unico

a contare i tuoi universi

voglio che il mio viverti passi

il confine degli alberi

la rete delle nuvole

voglio che una folla di mani disegni

quello che sento

il contorno impreciso

di quest’attesa di te

vapore della sera

grappolo di silenzi

inesplorate stagioni

c’è sempre dell’altro in te che preme

e non verrà mai fuori

e mi brucia per questo,

voglio che ogni verso  dia frescura al fuoco

e  accenda aurore

voglio ripararmi

da queste braccia che altrimenti

stringerebbero solo te

voglio che cresca in ampiezza

l’amore, che sia diverso

dai soliti segni, com’è diversa

ogni volta che t’incontro

e mi parli e sei viva


*

Il tuo corpo è vario…

Il tuo corpo è vario

perché le ore mutano sempre

il tuo essere dentro questa vita con me

come i mari cambiano

l’acqua che portano,

le giornate il loro colore,

e non c’è mai un filo d’aria uguale

a quello respirato un attimo prima,

tu nasci continuamente

oscillando da luna a pietra di luce

fino a quando non ti avrò tutta

nel sipario delle palpebre

nessuno più mi venga incontro

o mi riconosca al primo sguardo:

prima scambiamoci i cieli

consumiamo l’opera del buio

lascia che l’orlo del viso

abbia lo splendore inaudito

di una fioritura nel mattino

lascia che lo stuolo delle nostre voci

ci avvolga con la rete del desiderio

e poi presentiamoci senza più il velo

di un alfabeto comune:

saremo senza protezione

eterni nel quotidiano,

fasi di un invisibile

che ti affiora negli occhi

nella pelle

e non lascia più un centimetro libero

al sole

perché l’ha già occupato la mia sete

di te


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