Scrivo romanzi, racconti, poesie,
atti per il teatro

 

Poesia

Poesia Edita


Marco Righetti

RISCRITTURE

Direttrici poematiche 



Riscritture  

Oggi fermo l’inverno nel plastico 

per saggiare le immagini disponibili 

riempiranno la platea di giorni distanti? 

Rimontando il tratto visibile mi chiedo 

se a impressionare l’anima-lastra 

sia il calco dell’alba, 

preistoria o postmoderno a parete, 

o quel pugno di mare che gira 

da un capo all’altro del sangue, 

un crescere piano di vedute, 

la sabbia è vapore che al mattino  

raggiunge gli occhi 

ogni terra riparte da lì, 

entrando nella bocca l’aria forma gusto 

e desiderio, la nervatura delle sillabe, 

la casa scelta a dimora 

riscrive i passi cancellati da altri

non scantono le teche in memoria  

a stringerci ora è la spremitura dell’abitudine 

a coscienza, l’invisibile bagaglio 

incollato sulla fronte, 

c’è ritardo sotto la fodera quotidiana 

registro gli orari: 

eravamo nella lista dei partenti,  

segreti in espansione, causa  

lo scambio cellula – gloria centrale

in fase d’apprendimento le navate 

sono avvolte nel cellofan dei versi 

cose amate, 

il tuo universo stampa anime   

l’inchiostro è il sonoro 

non svaniranno, 

comunque ho addestrato i miei ladri 

non aspettate 

che le voci affiorate si oscurino

la tua mano in sospensione figurativa 

recinto di risposte pronte 

carezzate con l’olio dello sguardo, 

viscerale rinvio, 

tracce d’erba nel cuore asfaltato

quando sento freddo il continente marino scruta 

la terra in attesa provo a posare giardini 

tinture

ascolto ali tese nelle arterie 

tu fa’ il vento 

abbassa accenti sulla pagina: 

le parole promettono di segnare la testa 

con perché

la pressione appiattisce il tempo sul foglio  

ma non è sufficiente: 

fuggono vite tra le ballate 

dopo i giochi dispersi la domanda è cosa fare  

per salvare una stagione tolta dal calendario,

tu amore dipendi dal ponte estati  

trascorse – contagio di chiaro 

il collegamento prevede l’aerostato  

a sbarco improvviso sul centrocittà, 

perché l’occhio si gonfia di immagini? 

Portano indietro  

dove stai protetta da una fiammata

i magazzini cerebrali smuovono geografie ricordo, 

qualcosa si stacca sempre amato 

e apolide, giorni assottigliati 

a labbra sulla nuca  

posavi il parco oltre la finestra 

il lenzuolo ritagliava sole  

su di noi tardo settembre 

indovinavi l’accordo vene fiala d’azzurro

quanto è vasta ora 

ogni volta che mi hai amato, 

scopro la corruzione delle giunture 

allora seguo lo spostamento della luce  

sui tuoi anni 

l’impatto e il volo, 

giocherò nello specchio dei segni 

per sconfiggere lo scarto presente-passato

storia partorisce una striscia rossa a dicembre 

l’anabasi scende al seme delle canzoni, 

granuli o generazioni,

il tempo s’infila nei comparti di luce e pioggia 

si lega ai minuti,  

felicità che non resistono, 

l’alternanza stagionale impazza foglia su foglia 

chi passa senza traccia?

Lo credi? Vieni come in viaggio 

porti quello che è rimasto fuori 

non abbinato

il mio campo racconta materie prime 

canti di prigionieri, qualcosa mi tiene 

e mi fa sentire il resto che tace, 

l’inserzione della neve nelle vertebre, 

il cuore fondatore della vista mi spiegavi 

vola alle sue ferite d’acqua, 

quanto basta per assolvere la morte 

farla passare alta 

sulla vita

ti scrivo dal nido delle pendenze  

decifro il chiaro immerso nel bosco  

del fiato,  

strade già corse, 

forse ora ci appartengono come latte nella gola 

scorrono ancora

come sai bellezza punge senza stringere date 

un moto antico solleva Margherita di Brabante 

le ruota il capo verso l’estuario pronto

alla prova di veggenza chi muore è telaio pulsante 

somiglia a encicliche con la serie dei conversi 

pensa ai mesi dell’Antelami  

le facce-misteri medievali

il magnete cardiaco punta il nord permeabile 

la parabola nascita-scomparsa, 

è facile che nelle fessure premano volti

accostano le mie finestre 

salgono a trionfo e lasciano, 

stridore lieve della bocca 

a contatto con l’arancio vivo

primavere a lavaggio rapido 

mi tolgono colpa e merito 

il campo oculare si allarga 

e insegue il sole sparpagliato,  

ma quante isole ha l’arcipelago 

che parte dal cuore? 

Non lo sapremo mai

Il cestello della riproduzione gira il suo mucchio 

di grazie radianti, interviste  

con le nostre anime 

(ore in circolo) 

Lorenzo de’ Medici volge a rima i tuoi passi 

non meravigliarti qualcuno avrà l’elenco  

delle tue incarnazioni 

il fondo del vento

il premio ricevuto dai poeti? Ballatoi senz’argine 

su pozzi fondi, 

voci-monete per acquistare all’impronta 

la parte consumata della vita

bisogna essere lì, oltre i metri 

raggiungibili a piedi, per radicare 

le cose cadute a zero nell’occhio 

o restate in disparte  

come figli sconosciuti 

in ogni giro della mente va smarrito 

quello che abbiamo visto, l’esperienza 

che non si è unita a queste ossa

cosa avanza della fioritura? Stanze leggere 

sollevano radici a inediti,  

conservi ancora come biglietto scaduto 

il manuale dove studiammo?

Luoghi liberi, un’indicazione 

messa appena sotto le nuvole, 

ora la cenere è incendio 

guida il respiro tra le costole, 

allestivi l’insegna intermittente, 

clorofilla e ombra,

vedi ho inserito l’auricolare ricostruisco 

partendo dai primi gradi di temperatura 

ho già predisposto il cavo scoperto, 

lo senti in vena l’inizio-vita? 

Dispone ingranaggi perfetti 

gangli midollo

non so mai la forza dell’acqua  

(ruscello o tempesta) 

quando scorre sotto l’orto della pelle,  

il resoconto in agenda dice nomi in gola, 

papille di canzoniere, 

spegnevi l’allarme: 

quando ti si spezzava una miniatura fra le mani 

ti limitavi a schiarire lo specchio sulle labbra, 

è uguale quando il vento sostiene 

rondini nere con gli acuti da salvare

invidio la libertà del porto il momento in cui predilezioni 

sconfinano nel mare aperto

nota la rapidità ombelicale 

con cui nell’Odissea gli aggettivi fanno tutt’uno  

con la voce Feaci  

somigliano all’abbinamento mattoni-casa, 

calamite 

cancelli: impediscono 

la rimozione di nostalgie

la parola rimane lago o abbandono 

hai fatto caso che l’ombra si incassa sempre 

nella separazione tra le pagine?

Zona capiente, 

emergono tracce di un ordine impresso al sorriso, 

così oggi porti in superficie canzoni di donne 

ci unì l’emozione  

chiederci cosa creare e lasciare senza scampo, 

prendevi sonno in territorio imprendibile 

come luce sott’acqua

ancora resisto alla terraferma  

io lettore svolgente 

il gomitolo della coscienza bergsoniana.

Verbi al presente: 

giochi nelle officine dei versi 

non trascuri l’infiltrazione del sacro 

l’età laurenziana dice la grazia che galleggia  

quando muovi le dita a plaudire giostre 

mi portano diapositive

fermate del tuo corpo bilingue, 

celia e giorni senza interni 

nell’archivolto della veste, 

la circolarità del passato getta fuori  

la bellezza ingoiata 

la vocale fa presa sulla bocca 

e non ha spessore, non serve, 

tutto ha diversità di respiro

di profilo 

ti solca un fischio sottile 

meridiani, linee immaginarie, 

è dovuto alla riproduzione in atto 

o forse vela  

verso l’isola di Alcina

non mi basta vedere la scia dell’aereo, avverti,  

sono tra gli esordienti tento l’impresa

il sensore ti prende i tempi segna 

Simonetta Vespucci Lucrezia Donati Alessandra Benucci  

metti mano tu stessa ai cataloghi 

purché siano antologia viva 

si avvicina il cuore 

nella galleria tempo-spazio 

il corso elenca biografie in dépliant 

sfilano treni rinascimentali 

finiscono alla cieca nella guida, 

togliendo il bavaglio della copertina 

restituisci il mondo preso insieme:

mi traversano fari a getto costante 

direttamente  

mi ammalo di impressioni anatomiche 

distinguo i grumi il blu bendato sui tetti

srotolo il diario sull’orizzonte  

fuoco disteso 

galleggerà fino allo sparo all’assenza di orme?

Oggi accendi il titolo-città 

mettete ogni cosa in vista, 

versi fuori il bianco del palmo, 

usi misure da ospite passeggero, 

le cadenze di quegli anni vivono 

nella staffetta sorriso – devianza, 

ronzio di congiure e fusione in versi, 

la strofa imita la lunghezza delle dita 

abbiamo tasti precisi 

per toccare l’inconnu

La densità del volo si vede all’atterraggio 

quando la vita è sul lungo finale,  

oggi chi muore mi entra nell’occhio  

per linea retta direbbe Dante 

(mi aiuta ad amare), 

quando l’uomo rinascimentale scende dalla ribalta 

ha lo stesso azzurro che ci gronda sulla schiena, 

lo avverti?

Nel monitor poetico Lorenzo si muta in girasole 

per rivederti,  

ma è l’occasione che attiva episodi già vissuti, 

è lo stesso quando bambini corrono  

oltre i vetri e manca il sonoro.

Misura il tempo d’apertura delle valvole  

il filo scoperto del cuore, 

il punto d’attacco alla memoria  

è solo un giro sotto l’esistente, 

riconosci l’impronta della storia 

le offerte? 

Sono ciò che ti è più vicino, 

sei tu sono io

altri mattini 

ci incoronano e ci lasciano 

con la stessa frammentazione della pioggia, 

all’aperto le precauzioni cedono sempre, 

come la testa quando si drizza investita  

dall’atmosfera masaccesca

l’occhio-contenitore feconda l’ognidove  

il verbo ci siamo stati, 

non basta qualcuno che proietti 

il film di com’è andata 

ci vuole chi alza la sigla finale 

a presidio d’amore

poesia pesca cronache che sembrano 

già assegnate 

quale punto del sangue è fermo da essere tuo?  

Eppure è lì con te 

poesia riprende il sogno e ruota il petto: 

entrano giovani da oriente e occidente 

qualcuno potrà mai contarli?

Ho promosso alleanze e invasori  

l’infanzia dell’anima 

nei polmoni-custodie, 

sottoposta a radiografia la retina  

serba annuncio e perdita.

Stralcio da quelle vedute esplose: 

nuotando tra i mattoni  

(nostri moli di base) 

tirar su la verticale  

e dare volto a quanto è sfuggito 

mappe incise nelle mani 

mondi privati

cos’altro sarebbe, altrimenti 

il morire che ci ha preceduto? 

Una parte di noi

il ventaglio oculare trattiene il battito regolare 

di un mare lontano, 

allora ti chiedo metti gli approdi a dovere, 

ci andrà bene 

se nessuno sventa. 


v. 173. “nota la rapidità ombelicale”: il rimando è allo stile formulare impiegato nell’Odissea, che usa aggettivi e sintagmi di rapida memorizzazione: ad es. in Odissea V, 386; VIII, 96 e 535; XIII, 36 i Feaci sono definiti philéretmoi (che amano i remi), in VIII, 369 dolichéretmoi (dai lunghi remi); Odisseo è (polùtlas) dios Odusseùs, il ( paziente), chiaro Odisseo.


v. 216. “Simonetta Vespucci”:  Simonetta Cattaneo Vespucci (1453-1476), forse amante di Giuliano de’ Medici, modella, fra gli altri, del Botticelli (la celebre Venere) e di Piero di Cosimo, ispiratrice delle Stanze per la Giostra del magnifico Giuliano de’ Medici del Poliziano. Il Comento de’ miei sonetti di Lorenzo si apre con quattro sonetti composti per la morte “d'una donna [Simonetta Vespucci] che non solo extorse questi sonetti da me, ma le lacrime universalmente dagli occhi di tutti gli uomini e donne, che di lei ebbono alcuna notizia”. 


“Lucrezia Donati” (che nel 1465 aveva sposato Niccolò Ardinghelli), partecipe delle feste della brigata medicea, fu la principale ispiratrice della prima redazione del Canzoniere laurenziano. Tale legame poetico fu ostentato anche pubblicamente. Lorenzo ventenne le dedicò la vittoria alla giostra del Carnevale del 1469 in piazza Santa Croce. Pochi mesi dopo sposò Clarice Orsini.

v. 216s. “Alessandra Benucci”, vedova di Tito Vespasiano Strozzi, amata e segretamente sposata da Ludovico Ariosto; collaborò alla revisione linguistica culminata nella seconda edizione dell’Orlando Furioso (1521). A lei che dal 1513 gli fu ispiratrice sono dedicati tra l’altro il proemio dell’Orlando Furioso (I,2) e la celebre canzone I dalle Rime, “Non so s’io potrò ben chiudere in rima”, in cui il poeta narra la storia del suo innamoramento.


v. 246. “oggi chi muore mi entra nell’occhio”. Nel Convivio (II, 9) Dante teorizza, da un punto di vista fisico, il caso in cui “più cose ne l’occhio a un’ora possano venire”: in tale ipotesi “quella che viene per retta linea nella punta della pupilla quella veramente si vede”. La vista in retta linea è l’unica che si suggella nell’immaginazione ed è mezzo principe dell’innamoramento. Nella Vita Nova (I,V) era stata la prima donna-schermo a interporsi nella retta linea tra Dante e la gentilissima.


v. 252. “nel monitor poetico Lorenzo si muta in girasole“. Nel citato Comento Lorenzo si  paragona a Clizia, “tornalsole da’ Latini detto clytia”. Poiché, adattando il mito, l’orizzonte (la morte) ha tolto a Lorenzo-Clizia il sole (Simonetta Vespucci), solo un’altra morte, quella dello stesso Lorenzo, “renderà il Sole suo [Simonetta] a questo nuovo Clyzia [Lorenzo] come l’Aurora lo rende a Clyzia già convertita in fiore”.


Nuovi testi

L’adolescenza di uno stupore 

Il Partenone entra in un solo ramo 

del pensiero 

perché è eternità senza veli 

corrente ascensionale 

è diretta l’eco delle colonne sulla pelle 

le metope ancora sotto sforzo 

di bianche machìe, 

rive sopraelevate, 

vi nasce la pietra 

e il suon di lei: 

qui comincia la riproduzione 

non interrompere 

potresti certamente scordare 

il giallo dei frutti 

il blu che brucia le sere 

il marmo che rifà i confini 

e le imboscate sotto le mura 

gli dei astanti le biografie 

oltre le onde. 

In questa legatura di rovine perfette 

non è abitata 

l’idea 

che qualcosa parli di noi 


Capodanno, con proponimento 

cosa fare perché giunga veramente 

l’annonuovo (e non sia un altro valico inutile): 

in luogo di straordinari 

pagati per affossare diaframma 

e regioni pelviche 

(incluse fantasie riproduttive) 

inamidare l’assetto rigido 

in previsione di altri esordi, 

la possibile stagione del cuore lanciato 

o spingere poesia verso una lingua che salvi 

ambigua 

(se vi capita il primo stasimo dell’Antigone decidete 

voi 

se l’esistere dell’uomo è stupore infinito [1]

o minaccia di un mistero). 

In tema: 

antichi racconti del sole hanno cresciuto 

alberi in fondo al mare 

ma non dicono dove il verde 

cede all’azzurro, 

dov’è l’adolescenza 

di uno stupore. 



Creta 

tornano a confabulare palazzi e palmeti 

l’isola-anemone aderisce al capezzolo marino 

come l’apice emerso di un azzurro 

nell’acqua scrivi parole 

profili da innamorare senza rumore 

entri nella nervatura di una civiltà 

questi sono i pithoi, 

contenitori vuoti 

perché ora dentro c’è solo il tempo, 

                                                   ombre saltano 

le ultime barriere ma si bloccano 

davanti al tuo piede d’ocra 

nel pronao, 

oggi ti fai baluardo di un nome antico. 

un cartello ammonisce l’automobilista 

furioso (se tarda al lavoro 

non può rifare l’Italia) 

lascia perdere 

il mito della fondazione 

neppure oggi hai vinto 

sei rifatto da lifting 

e opinioni bevute 

griffe e dietrologie 

di quest’era piovuta, 

non è neanche certo 

l’happy end per fiction interminate 

hanno anche tolto l’esame 

per diventare adulti 

emancipandosi 

dalla madre terrificante [2]: 

al prossimo bivio troverai 

la Sfinge di Tebe schiacciata 

dai suoi stessi enigmi 

dammi retta 

scìvolati  a brezza 

per un sì pieno 

a questo ritardo così mal custodito, 

così poco amato.

[1]La citazione in corsivo è una ripresa da Antigone (1° stasimo, vv. 332-33), nella traduzione di E. Cetrangolo (l’esistere del mondo è uno stupore infinito), in contrapposizione, ad esempio – nell’ambito della teoria di traduzioni del testo sofocleo – a quella di E. Savino (pullula mistero. E nulla più misterioso d’uomo vive).

[2]La “madre terrificante” richiama la nota interpretazione junghiana della Sfinge come rappresentazione archetipica dell’imago materno


Daysair 

(due dialoghi a margine delle Women of Trachis di Ezra Pound) [1] 

Sono tornato. Apprendo dal coro 

che l’attesa qui ha mineralizzato 

storie, le hai strette alla tua legge 

sacro vincolo e usura 

impermanenza e tempio. 

Nella tua carne di donna, 

avanguardia del tempo, 

sei fiorita con caviglie inquiete 

per una veglia ammiccante. 

L’unico spostamento 

è l’onda che mi ha riportato, 

qui invecchiare è virtù dormiente 

nel fusto 

ma non si sa quando accade, 

né chi muove prima 

tra un respiro e la morte. 

Inesorabile non è l’epilogo tragico 

della tua fedeltà 

ma la stasi di ogni commercio. 

Il segreto è annuire delirando 

per questa destinazione sopraffina 

che setaccia e cestina 

ogni precedente. 

Quest’oltreterra ha saracinesche sempre aperte 

si fraternizza con le specie 

si sta immutabili come alberi, 

vivere dura molto più del lavoro 

e del riposo, 

non ha ritorno. 

II 

I tuoi fatti prima di nascere 

rotolano insieme nella conchiglia 

l’umore d’agosto ha migliaia d’anni 

Trachis è tana dove si annulla 

ogni genere di morte, 

lo dice una piana incollata dal sole 

farfalle folgorate 

dal lampo ali 

piccole mani ritagliate 

se tutto si posa qui è come laggiù: 

i piedi scalzi sul bianco del caicco 

l’incuria di archi disossati 

lungo la costa. 

È fermo il mattino 

come un telefono che non suona 

perché staccato. 

Sono qui, Daysair, 

non ripetermi più 

il tuo mezzogiorno-assolo, 

l’ossessione di riconquistarmi, 

e l’oltraggio della mia parte oscura 

che potrebbe crederti vendicatrice 

giusto in tempo sono solo, 

nulla è trascorso, 

eccomi per questa tua fedeltà espansa. 

Iole 

il domani 

il destino 

non verrà mai. 


Sicilia 

L’allenarsi dei flutti rifà 

la sagoma del porto 

l’avidità dell’ora lima i fianchi 

alle barche-corpi di un canto, 

beccheggiano come dubbi 

le auto mettono in moto la fiera dei tigli 

che fanno segnalibro 

a una strada cittadina 

come tanti figli in piedi, ordinati 

lontano dalla riva 

c’è l’allungarsi del vento sulla pelle 

nella vela-ramo d’arancio sul foglio marino 

si gonfia sordo 

 - capelli di serpe e spighe di grano - 

l’enigma di Medusa 

(meridione del mito) 

lo sbattimento delle drizze cadenza 

l’apparizione dei paesi costieri 

letterature improvvise 

che ti girano la faccia 

numi invecchiati in una lontana striscia 

di sabbia e zagare 

che ora sale e scende 

dai tuoi occhi... 


Tornano scene da un giorno incompiuto 
(itinerari  veneziani) 

Galleggiano 

le gallerie dell’Accademia 

memoria utilizzata da tutti 

a Venezia provo a guidare 

un’altra vita rimasta in rosso 

pesco linguaggi alla fonda 

e fonderie, ma il primo ghetto d’Europa 

separa da arnie di luce comune 

Murano genera anime di vetro 

la Serenissima controlla un ognidove 

tornano scene da un giorno incompiuto 

Tiziano snuda la Venere celeste 

è nudo il seno della cortigiana sul ponte 

Veronica Franco scaglia duecento versi 

al suo offensore, m’aggiro intonacato 

da indiscrezioni su di lei 

“m’interesso di poesia” 

premetto prudente 

poi, come una verità, 

sfilo il mantello 

e il viaggio fugge: 

togliti la bauta donna nel miele 

del palazzo 

non vedi la tua vita sbattere ai vetri? 

L’ombra a cui ti unisci per celia 

il timbro che hai adesso 

diventeranno storia avara 

finito il carnevale 

e sarà irriconoscibile 

questo tempo doppio

[1]Daysair (due dialoghi a margine delle Women of Trachis di Ezra Pound), prende libero spunto dalla versione-reinvenzione delle Trachinie sofoclee ad opera di Pound, dove la stessa protagonista Deianira diventa Daysair (“aria del giorno”) e Iole, la rivale, è Tomorrow (“domani”).


Delos*

Qui a Delos fu il primo viaggio con te.

I leoni guardiani stanno ancora lì

salini, asfissiati.

Veniamo a cercare

un inchiostro appena leggibile

sotto le lancette dei piedi,

un Apollo minimo,

o il polso di animali tuttora

proni al sole

in un beato castigo.

Correre verso un passato

fa sbandare i conti

aumenta sensibilità agli esterni.

L’Agorà di Teofrasto ti girava intorno

con dogmi e dissolvenze,

alla rupe di agrumi

inciampi in traiettorie scolpite,

in un perché qualunque.

Le concordanze marcano:

                                    furono scintille

in cui c’ingabbiammo.

A saperlo non le avremmo accese

oggi, 

noi profumi spogli

dei ragazzi che eravamo.

*Cfr. M. Righetti, Il seguito mancante. Prefazione di V. Serofilli. Postfazione di P. Perilli, puntoacapo Editrice, Novi Ligure (AL) 2010, p. 91.


Corfù*

A Corfù hanno venduto tutto

il monastero-zattera in calce bianca

(la tregua durava ormeggiata)

le strisciate d’olivi e vespe immobili

l’argento controluce del pope elegante,

scogliere nella barba,

erano sfarzo le schiere di fichi d’India

numeravano tutti i derivati del verde

ignoravo aghi.

Riemerge senza mediatori

il morso di eroi sulla sabbia

una fascia di stelle incendia la ghiaia

quest’ultima neve caduta dalle battaglie

perché nessuno le scordi

da questa parte non montano parabole

per vedere meglio la storia

spiega il campione locale

le fonti sono direttamente cielo e mare

Ma qui, a Scheria,

le navi non temono d’andare in rovina.

*Cfr. M. Righetti, Il seguito mancante. Prefazione di V. Serofilli. Postfazione di P. Perilli, puntoacapo Editrice, Novi Ligure (AL) 2010, p. 94


Pubblicato su: 

http://www.senecio.it/riv/43.html


Note a lettura di Annamaria Ferramoscahttp://www.senecio.it/rec/righetti.pdf